Se le case fossero il luogo dove si realizzano opere d’arte fatte dai loro inquilini, come sarebbe la loro vita di ogni giorno?
E’ la curiosità che spinge l’immaginazione di vedere all’opera l’uomo nel fare arte quasi come una disciplina che rientra nella cura del proprio corpo e nel desiderio di stare in contatto con un piacere che travalica la pelle, ma dipende anche da essa.
Nel Vermont Studio Center quello che avveniva era proprio una sorta di quotidianità del fare come per serbare una integrità di essere e di condividere la propria esistenza nel cadenzare la giornata con riti semplici di vita, ma che poi rilucevano nell’interiorità dell’arte che si manifestava.
Le persone dai diversi luoghi della terra stavano insieme in uno spazio di una città che si disponeva su una strada principale e altre laterali anch’esse vive di una semplice cromia comune, tra terra e boschi e asfalto su cui correvano i mezzi di trasporto.
Sembrare di far parte di un nucleo ristretto che aveva radici in giro per il mondo e rendeva il pensiero artistico qualcosa di immaginazione pura sintetica e quasi rudimentale nel manifestarsi; gli oggetti erano pochi frugali eppure riuscivano a riempire l’aria e a renderla estetica ogni minuto in modo diverso.
Depositiamo opere sulle pareti e sui nostri tavoli o appoggiati al pavimento per arricchire i luoghi o l’anima degli inquilini?
Forse la domanda che unisce tutto questo è il grande dubbio di cosa sia realmente una opera d’arte, non tanto per riconoscerne una definizione ad ampio respiro, ma quello di estromettere qualcosa che ne faccia parte.
Gli studiosi quando incontravano un artista sconosciuto, esprimevano con reticenza un loro parere su un’opera solo se avesse già acquisito una sua notorietà autonomamente.
La filosofia può chiarire questi enigmi e semplificare la conoscenza di essi ?
L’oggetto rappresentato cosa ha che non ha dell’oggetto reale?
Ha quello che si può definire un’anima estetica della materia che è nel reale, ma nell’opera d’arte assume una concretezza irreale. Sembra un ossimoro invece racchiude l’energia intrinseca di realizzare opere, che hanno materia, ma che non è materia ad essa riconducibile. Questo poi però è messo in scacco quando andiamo a vedere i ready made che contengono oggetti fisici ed estetici nello stesso momento. Occorre allora fare molta attenzione a quando si parla di rappresentazione, forse si può parlare di condivisione di visione tra lo spettatore e l’artista?
Forse possiamo cogliere nelle parole quello che poi noi andiamo a vedere negli spazi che accolgono l’opera d’arte ? Le definizioni ci possono aiutare nei dilemmi?
Sono dei piccoli appigli che come il filo di ragnatela riescono ad oscillare per un tempo quasi infinito che viene interrotto dal passaggio violento di ciò che non voleva distruggerlo.
Claude Monet: ” Io devo ai fiori l’essere diventato pittore”.
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