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Ryoji Ikeda / Biennale di Venezia 2019

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L’artista giapponese, Ryoji Ikeda, ha realizzato un’opera nel Padiglione Centrale dei Giardini all’interno della Mostra “May You Live In Interesting Times” del curatore Ralph Rugoff e un’altra presente all’Arsenale, entrambe colpiscono per la loro essenzialità nell’interpretare il tema della mostra.

L’opera svela quello che è nascosto in quest’epoca?

Sfida le consuetudini del pensiero attuale e amplifica il “mistero”, non inteso come dubbio, ma come conoscenza da svelare, qualcosa che si può perdere nella notte dei tempi e la sola azione è di attraversare “l’ambiguità” del vedere, l’azione che imprime qualcosa di nuovo.

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Ryoji IkedaSpectra III, 2008/2019, Padiglione Centrale, ai Giardini, 58.Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, May You Live In Interesting Times, Paola Ricci©Photo
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Ryoji Ikeda, Spectra III, 2008/2019 Padiglione Centrale, ai Giardini, 58.Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, May You Live In Interesting Times, Paola Ricci©Photo

Spectra III, 2008/2019 consiste in un corridoio di tubi luminosi fluorescenti, immergendo il visitatore in una luce “asfissiante”, ma anche avvolgente che ti pone in difficoltà nel guardare gli altri mentre attraversi un corridoio. E’ un’azione immersiva totalizzante che mette in difficoltà  lo spettatore, per processare una decodificazione dei dati che riceve. 

Per l’artista Ryoji Ikeda questo evento si allinea al concetto del “sublime”, dove la realizzazione di un paesaggio non permette la sua decodificazione o comprensione per aleggiare all’interno  di passaggi sinestetici elevati.

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Ryoji Ikeda Spectra III, 2008/2019, Padiglione Centrale, ai Giardini, 58.Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, May You Live In Interesting Times, Paola Ricci©Photo
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Ryoji Ikeda Spectra III, 2008/2019, Padiglione Centrale, ai Giardini, 58.Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, May You Live In Interesting Times, Paola Ricci©Photo

L’opera deve essere “aperta” a nuove interpretazioni, non deve precludere che la sua interazione col visitatore debba essere un’unica e rettilinea azione conseguenziale; ognuno sentirà diverse necessità e reazione nel passare in questo corridoio luminoso come una sorta di passaggio “obbligato” perché trasformativo.

L’artista è un compositore ed è riconosciuto come uno dei maggiori esponenti della computer music contemporanea.

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Ryoji Ikeda Data-Verse , all’Arsenale, 58.Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, May You Live In Interesting Times, Andrea Avezzù ©Photo

L’altra opera è presente all’Arsenale ed è intitolata “Data-Verse”, una scena digitale  con un grande display  con video che propone il flusso costante e sempre differente dei dati che si trasformano in pure immagini e in suono.

Qui la luce è una proiezione di dati in un ambiente oscurato, il pixel è in continua trasformazione che diventa un codice, un passaggio visivo tra numero e immagine e relazione individuale al network “collettivo”.

La multimedialità è realmente un linguaggio collettivo?

Proiettando sul pavimento o sulle pareti di un ambiente diventa patrimonio collettivo, ma non significa che questo diventi un’opera sociale. La sua è l’espressione dello “zeitgeist”, ovvero lo spirito dei tempi a loro contemporanei.  Le Biennali sono i momenti migliori per dare spazio a questo elaborare dell’arte in quello che realmente sta accadendo attorno agli artisti.

Quest’opera è stata realizzata con il supporto della maison orologeria Audemars Piguet, essa trasforma il tempo, il suono e la luce attraverso la precisione matematica diventando estetica. Utilizza frequenze e scale difficili da percepire all’orecchio e dalla mente dell’uomo, visualizzando i suoni e raffigurandoli per mezzo di sistemi numerici e grafiche computerizzate.

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Ryoji Ikeda Data-Verse, all’Arsenale, 58.Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, May You Live In Interesting Times, Andrea Avezzù ©Photo

La tecnologia digitale asservita alla vista estetica cromatica. Egli “contamina” tutto per raggiungere un infinito non materico. Si è immersi in quei passaggi mentali della cultura underground dei club densi di oscurità dove la musica assorbe le pareti dove viene suonata.

Sono le trasposizioni del suono in sinusoidi del “rumore” e che anche altro  non va certamente spiegato, ma vissuto personalmente.

#BiennaleArte2019 #MayYouLiveInInterestingTimes

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