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May You Live In Interesting Times/ La Biennale di Venezia 2019

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Oggi 11 maggio fino al 24 novembre 2019 sarà aperta la 58. Esposizione Internazionale d’Arte ai Giardini e all’Arsenale e in altre sedi in tutta la città.

La città si è plasmata nei suoi luoghi architettonici ad accogliere le opere e gli allestimenti che hanno interpretato ed espresso il titolo scelto dal curatore Ralph Rugoff ,May You Live In Interesting Times e organizzata dalla Biennale di Venezia presieduta da Paolo Baratta.

“Il titolo di questa Mostra può essere letto come una sorta di maledizione-ha dichiarato il Presidente Paolo Baratta– nella quale l’espressione “interesting times” evoca l’idea di tempi sfidanti e persino minacciosi”.

Il titolo deriva da proverbio immaginario, fu menzionato la prima volta su carta stampata nel marzo del 1936 e nello specifico dallo Yorkshire Post, un giornale locale britannico.

L’articolo parlava di un discorso di Sr Austen Chamberlain al Birmingham Unionist Association, che illustrò la pesante minaccia alla sicurezza collettiva europea rappresentata dall’ingresso di alcune truppe tedesche in Renania. In quel discorso evocò un’antica maledizione cinese che recitava: “Che tu possa vivere in tempi interessanti”. La cupezza dello sbandamento di possibili catastrofi porta alla possibilità di vivere comunque periodi interessanti.

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Ralph Rugoff Paolo Baratta Andrea Avezzu Courtesy La Biennale di Venezia

Sfidare gli schemi prestabiliti, accogliere le minoranze degli artisti, operare libere scelte fuori dagli schemi di mercato, ben sapendo che esistono, possono sembrare delle puntualizzazioni già conosciute e attraversate già in un progetto curatoriale per una mostra internazionale. Qui invece il lavoro di ricerca non è essere sempre lampante e individuabile all’interno di uno schema omogeneo. Quello che è apparso non del tutto evidente che la storicità dei lavori eseguiti e la loro configurazione formale non sono espressi  per dare omogeneità conformista, ma per realizzare un labirintico movimento del visitatore obbligandolo inconsciamente ad una osservazione più attenta, più specifica del dettaglio e del dislocamento non sempre lineare. Come può insegnare una scelta di libertà espressiva significa conoscere delle regole e poi saperle “rompere” senza che questo determini la realizzazione di briciole sparse al vento, ma di scelte in cui il contrasto e anche la più forte contraddizione formale ed epidermica come uno spostamento forte e d’urto nel corpo, molto spesso di uno spettatore che fagocita senza assaporare.

Quello che poi si vuole mettere in evidenza è che lo spostamento è anche la possibilità di trovare nuovi funzionamenti in un’epoca di falsità e bugie con un entusiasmo nuovo.La mostra è divisa in due presentazioni quella all’Arsenale e quella al Padiglione Centrale ai Giardini.

Il curatore Ralph Rugoff dichiara che molte delle opere esposte affrontano tematiche contemporanee più preoccupanti, dall’accelerazione dei cambiamenti climatici alla rinascita dei programmi nazionalistici in tutto il mondo, dall’impatto dei social media alla crescente disuguaglianza economica.

Però che questi assiomi siano degni di qualche verità, non è compito dell’arte di convincere o di istruire, ma più che mai di scuotere e come tale un’opera che muove non è facilmente identificabile e assorbire l’attenzione di uno spettatore che guarda con occhi vergini. In filosofia il principio certo per immediata evidenzia è sicuramente un inizio di ricerca e di scovare la sua autenticità o meglio ancora il porsi quel dubbio. Creare la forma a un concetto versato come inattaccabile. Quindi implicitamente qualcosa nella forma e nella sua configurazione esprime l’opera il principio di partenza, ma quello che ne da un assorbimento estetico e di memoria visiva non è la traduzione diretta  del concetto sulla materia artistica è sulla materia del corpo dello spettatore stesso.

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Ralph-Rugoff, Andrea Avezzu Courtesy of Biennale di Venezia

La sua reattività è nella forma dell’opera e il suo dubbio è nella corteccia esterna e interna di un materiale attivo tra le mani dell’artista e nella mente che produce arte nei video. Le opere che sono state presentate nella mostra e insieme a quelle presenti nei 90 diversi padiglioni nazionali che affiancano la Mostra, sono opere in divenire, non perché sono non concluse, ma perché non hanno limiti e confini dove finiscono.

Lo spaesamento che si è percepito tra gli spettatori che erano attratti, ma nello stesso tempo in una distrazione di quando uno perde l’orientamento, è dato da una continua transazione tra quello che è fatto realmente dalle mani dell’artista e quello prodotto con altre possibili collaborazioni tecniche e tematiche non riconducibili al semplice “fare”.

Le opere esposte nelle due sedi, insieme all’atmosfera che evocano, sono piuttosto diverse, non tanto perché si sviluppano attorno a concetti o principi separati, bensì perché mostrano aspetti diversi della pratica di ciascun artista. I visitatori non percepiranno subito che le due mostre siano state realizzate dagli stessi artisti e questo è importante perché l’obbiettivo del curatore è trasmettere un’impressione  di più ampio respiro nella produzione artistica e dare una possibilità di interpretarne individualmente la ricerca.

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“Thinking Head di Lara Favaretto al Padiglione Centrale Giardini 58. Esposizione Internazionale d’Arte

Allora quello che avviene è che l’opera non è radicata tanto negli oggetti stessi, ma nella possibilità che quello che si vede determina uno scambio che porta ad accedere a diversi punti di vista. Quando si osserva, non si vede più un’unica realtà, ma più realtà come nella possibilità che esistano più universi che a noi sono sconosciuti.

Potrebbe essere presente e alleggiare così la convinzione che aveva Duchamp sull’artista, cita proprio in questi termini il curatore Ralph Rugoff, che incomincia a lavorare a una nuova opera con determinate idee sul soggetto, ma durante il processo di realizzazione alcune cose vengono colte e non realizzate. La sua consapevolezza subisce quindi una evaporazione che rende l’opera non sempre concorde con il pensiero originale.

Questa idea ben trova una sua manifestazione visiva perfettamente realizzata nel lavoro interessate dell’istallazione “Thinking Head” di Lara Favaretto al Padiglione Centrale dei Giardini. La nuvola di vapore che s’innalza sulla facciata del Padiglione.

Quello che avviene è che le opere rimandano non a quello che è avvenuto nello spazio espositivo, nelle sua tipologia di consuetudine, ma a quello che avverrà dopo che l’opera non viene più vista e cioè di come il visitatore utilizzerà quell’esperienza per procedere nella quotidianità che è intrisa di condizioni non edificanti.

Ampliare la vista non è solo un processo d’immaginazione o di realtà virtuali costruite attraverso una programmazione tecnologica, ma è il permettersi di non considerare come vero quello che vediamo e di fare propria la verità intrinseca al cambiamento mentale che opera la vista dell’arte.

#BiennaleArte2019 #MayYouLiveInInterestingTimes

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