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Lo spazio svelato 1.1

Viaggiando si compie una “disciplina” quella che si chiama lo spostamento del corpo da un luogo a un altro senza sapere cosa si vedrà e come si osserverà.

Sfuggono spesso gli spazi durante i viaggi e come cartoline che si raccolgono nella fretta poi le spediamo, agli amici che sono rimasti stanziali nei luoghi da cui si è partiti.

 

Questo è un’abitudine quello di catturare ciò che forse non si rivedrà più facilmente, come quando si fotografano i luoghi, sperando di incamerarci dentro anche le sensazioni che quell’istante di sguardo ti ha bloccato in mezzo a una strada o davanti a un edificio.

Ma questa è pura illusione, lo spazio ha una memoria nascosta a chiunque osservi tale luogo.

Paola Ricci©Photo

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La memoria di oggetto passa continuamente, e prima di te ad altri e ti è negato conoscere i fatti precedenti, dove forse solo l’archeologia può darti questa “scienza” approssimata dei luoghi Quando un archeologo scende per la prima volta in una tomba di un Faraone egizio, egli potrà “toccare” ciò che per milioni di anni non è stato possibile prima. Qualcosa di magico allora avviene, ci si colloca in modo temporale in uno spazio, anche se la condizione del tempo può essere definita un’illusione inscindibile per l’essere umano che non appartiene ad altri esseri viventi.

Paola Ricci©Photo

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“L’uomo ha bisogno di un quadro del mondo e del posto che occupa all’interno di esso, strutturato e dotato di una coesione interna. L’uomo ha bisogno di una carta geografica del suo mondo naturale e sociale, senza la quale sarebbe confuso e incapace di un’azione avveduta e coerente”, così scriveva Erich Fromm in “Anatomia della distruttività umana”.

Paola Ricci©Paola Ricci

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Paola Ricci©Photo

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I luoghi si fanno raccontare perché questo permette di ancorarsi a un’esistenza e la memoria ne localizza le successioni narrative.

Diversamente Michel Foucault parla nel testo “Spazi altri” di Eterotopie che sono spazi differenti, di contestazioni di spazi in cui viviamo, dove abita il “phantasma”, in cui si trovano territori ibridi, sospesi tra reale e immaginario, come quella della pubertà della vecchiaia e della morte; per la quale occorre, per la loro intensità, di un transfer. Le Eterotopia sono quindi momenti di crisi della vita dell’uomo e della società e ogni epoca può produrre diversi aspetti rispecchianti l’epoca in cui si vive.

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Questo catturare immagini di un luogo inizialmente sconosciuto è per compiere quella catarsi estetica per quello che porterà alla manifestazione intensa di un transfer tra il luogo e, l’uomo che lo “accetta”, ammette nel suo corpo quello che è riversato nell’immaginario e la mano incomincia a toccare le superfici, i fori, gli angoli, le macchie e i dislivelli delle pareti come un codice silenzioso che “parla” inevitabilmente, e non serve altro che l’artista lo manifesti visivamente col fare su di esso, sullo spazio e il luogo di memoria infinita che gli appartiene e che trasmetterà per sempre.

Sono segni che si aggiungeranno ad altri, sono strati che si sovrappongono ed escono fuori dalla parete come ulteriori e tridimensionali spessori solidi che occupano il vuoto lasciato libero. La mano si muove nel disegno, unendo punti che sono posti su assi immaginari e compie evoluzioni circolari o ellittiche per raggiungerli, tale che il tempo per metterli in contatto tra loro, non è altro che attesa per ascoltare la memoria.

Essere in contatto con la memoria non significa fare i passi indietro col nostro corpo, ma ascoltare quello che c’è stato per poterne ascrive dell’altro, l’accettazione è la possibilità di modificare e di cancellare ulteriormente.

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Continua …

 

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