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l’Imperatore / Allegro

Iniziai l’ascolto del primo movimento Allegro del concerto n.5 per pianoforte e orchestra, detto Imperatore, di Beethoven e questo avvenne attorno a me.

Scivolava la terra sotto i piedi del bambino che rincorreva la pallina, ma poi il tuono, appena accennato, rimbalzò sui vetri verdastri che rispecchiavano il mare. I riflessi infiniti di gocce ricadute dopo un breve temporale si lasciavano dietro le corse delle antilopi che si allontanavano; dopo che il leone s’impose sulla roccia che dava verso la valle della savana, gli gnu, saltando con le zebre, si lasciarono dietro le scie di aria gialla abbandonate sulle pietre biancastre, mentre l’eruzione breve di un fiume, dopo una lunga siccità, diede al sole, che sostava sulle fronde degli alberi, un movimento più veloce che mai.

Tutto corre, come la terra che si riempie di acqua fluida e densa, come l’aria forte che smuove tutto; solo le zebre rimbalzavano sulla terra indurita. Saltavano le gocce, come uccelli veloci, poi arrivò lui, quel vento fresco della notte stellata che non riusciva a lasciar passare i tremori tra le braccia per raccogliere quella frescura che innalzò colei che si fece sospendere sull’alto albero, per distenderla poi sul tronco più forte che trovò lasciandola sola. Lei si riempì di grazia con impeto, si lasciò abbandonare al sogno di quel mattino sprecato nel baciare tutto quello che ricordava degli anni separati da lui, come i libri sciolti nel cielo.

Beethoven tema del concerto

Su, scivola la palla, cade il legno abbattuto dalla forza di quel vento sul letto del fiume; le antilopi lo saltano, lo lasciano andare via il vento che corre sulle montagne.

Si spalancano le devastazioni e lui con il suo ruggito allargò anche quelle foreste, riempiendosi di luce e di forza. Straripavano i mattini arrossati di baci smorzati su quel filo teso tra un albero e l’altro, sedeva lei aspettandolo, non voleva perdere quel ricordo lo stringeva nelle tende di ogni  voce sprecata di ogni sussurro della biscia; ora si allontanava dal suo piede e ora sembrava calma, ma arriva la notte si spalancò la burrasca che nel suo cuore si allargava; niente ferma ormai l’urlo del leone che scatta, si piega, si arrampica, si contorce. Si disgrega la sua pancia, si allarga la mandibola, si disperde la bava, ma ora la luna, che è sorta, rischiara i suoi occhi gialli e limpidi come rugiade sboccianti nel cuore di lei.

Imperatore : Allegro

“Lasciami prendere quel treno, rimanere a correre con te, lasciami saltare; non disperdere quelle energie, permettimi di arrampicare ancora sulle tue braccia e lasciami baciare”.

“Come erano state le nozze perdute ?”

Ora le scorrevano via i ricordi, scagliando lontano il tucano dalla sua spalla, lo vide rincorre e saltare sul corpo dell’antilope, lasciandosi catturare dal leone che non era piegato, ma steso sul suo ventre bianco di luce. Il sole forte, caldo e largo con le sue braccia piegate sospinge lo sguardo sulla testa, si rigira come zampilli sulla terra arida di luce.

“Ti rincorro o scappo da te, ti prendo e ti rifuggo, sempre per lasciami andare”.

“Lasciami andare per favore sai che tornerò che sarò come una libellula posta sul tuo fianco, sul tuo capo”.

 

Su nel scendere la saliva, sale e lei sola non mollava lui sulla pancia, non rinunciava, per lasciarlo colpire ancora.

Tutto di lui perdeva, per capire come era arrivato come era stato fermo, se era una lancia sbocciata nella sua pancia o se era abbandonato come una rana che salta e che rimbalza, pungendo la sua voce che rispecchia il sorriso sul ventre di tutti i suoi ricordi lasciati andare. “Ora ci riprenderemo, dopo ogni salto ogni balzo di vita e di corsa, di sfregio che scorre fino alla gola e del ricordo più bello più intenso e io sola starò a vederti”.

Non lasciò che il leone sparisse, non lasciò che gli gnu scomparissero, non lasciò che le zebre fuggissero, tutto girava attorno a loro, tutto è in alto sulla cima della pietra bianca che brilla, che sale, si erge come una montagna larga soffice e morbida. Loro furono sempre più leggeri, più caldi che mai, è sempre dentro di loro, dentro la natura e dentro all’insensibile senso dei sensi, al perdurare di pace, di forza, di bellezza, di pancia larga, di occhi sorridenti di baci infiniti di amore perso, videro che il leone avanzava.

Imperatore

 

 

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