Archeologia dell'alimento, Cibo, Ricetta dello Chef
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Le sarde croccanti / Venissa

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Il luogo di un cibo è già un  sapore racchiuso in tale alimento, come se la superficie di tale pietanza si fondesse con sapori primordiali.

Verbaque provisam rem non invita sequentur. Horat.de Art. Poet.

Apparecchia la materia e le parole spontaneamente la seguiranno. Orazio

Il sapore, il garbo e la grazia era, nel testo poetico, qualcosa che Gasparo Gozzi andava a cercare poi in tutte le Arti e come Orazio seguiva la ricerca delle parole.

Quello che si può trovare nel cibo è la stessa maestria poetica della mescolanza delle parole, quello che incuriosisce in una pietanza, è la calibrata sensazione tra la vista e il palato e  il luogo  rappresenta l’ esperienza  umana di una danza tra la mente e il corpo.

 

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Immagine per un libro poetico di Gasparo Gozzi, 1775

 

Venezia appariva ,all’inizio dell’800,  “dappertutto palazzi cadenti, dappertutto rovine, dappertutto sfaccendati e schiere di mendicanti”, scriveva tra il 1816 e il 1817 l’arciduca Ranieri d’Asburgo, il futuro viceré del Lombardo-Veneto.

Nel 1820, avvenne un evento, in una delle isole che circondava Venezia.

Fu demolita una chiesa, la storia non è chiara sul motivo perché la chiesa scomparve, qualcuno disse che era in stato così abbandonato, che la sua bellezza era scomparsa agli occhi delle persone, ma stranamente di quella chiesa di nome San Michele Arcangelo, rimase in piedi il campanile trecentesco che svetta sulla terra di quella piccola isola chiamata Mazzorbo.

 

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Mazzorbo
Paola Ricci ©Photo

 

Questo campanile rimase solitario, vicino alla fondamenta e  l’ombra avrebbe giocato con la terra circostante e non più con la chiesa annessa; il maestro ingegnere che era addetto al ripristino del luogo circostante su quell’isola, si chiamava Tommaso.

Tommaso era un uomo che conciliava il lavoro progettuale ed edile con la ricerca dell’armonia tra gli elementi misurati, ma anche con la grazia delle assonanze di contrasti,  da lì il suo piacere di cucinare all’ombra di questo campanile nel suo luogo protetto, dove si trovava la sua cucina. Aveva realizzato  un connubio tra forme architettoniche e spazio che comunicava con il paesaggio circostante.

Quel giorno dall’alto del campanile poteva osservare la bellezza di una nebbia non molto densa che si appoggiava sull’acqua della laguna e come una nuvola larga e leggera si sospingeva tra Torcello e Mazzorbo fino quasi verso il limitare dell’isola del cimitero a San Cristoforo della Pace; si stava diradando la nebbia e si poteva incominciare a vedere il profilo multiforme di Venezia che aveva un leggero sole che si stendeva sui tetti delle case.

 

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Francesco Guardi,
Isola San Cristoforo della Pace, XVIII

Voltandosi verso Torcello, vide arrivare una grande imbarcazione che ondeggiava lentamente sull’acqua come una canna leggera con qualche incertezza. La nebbia era come uno sventagliare di pulviscoli colorati, ma quando la barca attraccò alla fondamenta, si poté scorgere un leggiadro corpo di donna che aiutata da un marinaio, salì a terra. Era una donna che aveva mantenuto viva la sua bellezza e le sue grazie, aveva girato il mondo, lasciando la  Francia in cui scorreva il sangue della rivoluzione.  La donna aveva perso tutti i sui cari, Elisabeth era tornata a Venezia col desiderio di rivedere ancora una volta i colori dei mosaici a Torcello; per lei erano fonte di luce e di passione che riversava nelle sue pennellate come aveva fatto negli innumerevoli ritratti tra cui quello alla  regina Maria Antonietta.

 

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Élisabeth Vigée Le Brun , Autoritratto 1790

 

Tommaso aveva ancora addosso i vestiti della pesca notturna, quando era ormai sceso dal campanile;  stava passandole vicino e per errore la sua spalla andò a toccare quella di lei che si muoveva in un’altra direzione. Allora lei gli chiese con un leggero incedere tra parole italiane e quelle francesi se sapeva dove poter mangiare qualcosa prima di rientrare a Venezia e sperare che la nebbia diradasse.

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Torcello, Abside , Basilica di Santa Maria Assunta

 

Tommaso era un uomo alto e ancora con le sue braccia capienti per possibili nuovi abbracci e la sua barba bianca disegnava un ovale allungato  nascondendo di poco il suo sorriso perenne sulle sue guance. Le disse, scandendo le parole, perché potesse capire, che lui stava andando a casa a preparare il suo pranzo e che se voleva, poteva unirsi  anche solo per il tempo di riposarsi un attimo,  e la pietanza sarebbe stata pronta in poco tempo.

Elisabeth accennò col capo di sì e aggiunse un sorriso che le arrossò le guance come il suo fiocco rosso intorno alla vita, nascosto dal soprabito sul suo vestito. Passi leggeri che risuonavano poco mescolandosi con lo sciabordio dell’acqua della laguna lungo il muro di camminamento che stavano percorrendo.

Incominciava a spuntare dal cielo la cima del campanile,  voleva dire che la nebbia stava scomparendo.  La cucina in cui entrarono insieme era calda e già si capì che il sole tra poco sarebbe spuntato. Si tolse il soprabito Elisabeth e Tommaso le indico il bagno in cui andare a rinfrescarsi.

 

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Rose nel vigneto, Mazzorbo Venissa Paola Ricci©Photo

 

Quando lei tornò in cucina  poté  riconoscere l’odore dolcemente asprigno di aceto, che però non era lo stesso che conosceva, le sembrava di stare tra i profumi di rose che lei metteva nei suoi abiti e poi quel dolce fresco sapore di lamponi che poneva,  adornando i dolci dei pranzi domenicali. Poi quello che poco riconosceva era un altro profumo, di dolcezza zuccherina diversa  più vicina a un gusto  pizzicante,  un profumo che nelle narici diventava intenso arrivando agli occhi che leggermente s’inumidivano di lacrime felici.

Tommaso stava affettando una cipolla rossa che veniva dal sud della penisola vicino a una città chiamata Tropea dove il mare aveva onde che forse la laguna non conosceva.

 

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Lamponi

 

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Aceto, preparazione, Arti e Mestieri
Distilleria

 

Affettò  le cipolle per stufarle con alloro, zucchero di canna, sfumandole con aceto di lamponi alle rose quasi che il fumo agrodolce dell’alloro rimanesse nella padella e non si espandesse nell’aria. Poi Elisabeth vide affondare la mano di Tommaso in una ciotola piena di uvetta appassita;  secca l’uvetta non si attaccava tra loro gli acini che avevano perso il  verde biancore,  la loro dolcezza si poteva sciogliere tra le dita  rilasciando calore.

Elisabeth si era messa comoda seduta vicino al tavolo con uno sguardo felice sui fornelli e vide come Tommaso raccolse il liquido formato da queste mescolanze di erbe, uva, cipolle e aceto e zucchero per mescolarle con una polvere che lui chiamava magica e dal nome esotico kudzu. Tommaso era anche un grande navigatore riusciva a mescolare la poesia del viaggio con quella della scientificità delle conoscenze. Nell’Asia orientale tra la Cina e il Sud est Asiatico aveva scoperto questa pianta, kudzu, cosi longeva e di grandi dimensioni, tanto che le sue radici potevano raggiungere i cento metri di lunghezza e si era portato delle parti  della radice per renderla in polvere.

 

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Fiore della pianta kudzu

Mentre si raffreddava e si ritirava il liquido odoroso, posto in una sach a poché; tirò fuori dalla ghiacciaia le sarde che avevano pescato la notte scorsa. Erano pesci che appena usciti dall’acqua sono iridescenti e sotto le luci della barca si manifesta quel gioco di scambio tra il verde l’azzurro e un intenso blu che si contrappone al bianco argentato. Come zampilli di luce che escono dall’acqua salata e che nelle notti di luna piena si possono vedere con le  lampade spente sulla barca come lapislazzuli di perle o polveri di colore, così le descrisse Tommaso a Elisabeth.

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Sardina pilchardus

Elisabeth  incominciò timidamente a parlargli di come eseguiva i ritratti, che era necessario entrare nell’animo del personaggio che sostava davanti a lei.

E’ cosa diversa quello di cucinare e dipingere? Si stavano chiedendo i due sconosciuti incontrati sulla fondamenta di Santa Caterina a Mazzorbo.

Le voci di Tommaso ed Elisabeth saltavano da un argomento all’atro, di viaggi, di luoghi di tele, preparate per un nuovo ritratto; la loro vita s’incrociava con la dovizia dell’attesa che uno parlasse e ascoltasse anche il proprio e altrui silenzio, mentre le mani imbiancate di farina di Tommaso avevano ricoperto le sarde diliscate e poi tuffate nell’uovo e nella nuvola di piccoli granelli di pane morbido e bianco che aveva già preparato.

 

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Sarde in saor sempre croccanti, Venissa
Paola Ricci©Photo

Le sarde così vestite di questi diversi strati di colori che cangiavano dal bianco freddo, al giallo e al bianco caldo dei granelli di pane, furono poste nell’olio bollente a friggere fino alla doratura del pesce. Ormai il piatto era composto come un’incastonatura a mosaico tra il dorato del pesce e le punte di colore rosso rubino della salsa che scivola dalla sach a poché a pochi intervalli, dal brunito rosso della cipolla di Tropea al marrone morbido dell’uvetta.

 

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Sarde in saor sempre croccanti, Venissa
Paola Ricci©Photo

Non c’è dato sapere cosa fu detto nel degustare questa pietanza, ma sappiamo che fu un incontro tra due persone che hanno lasciato che il tempo li permettesse di riconoscersi.

Ci fu detto, da alcuni pescatori del luogo, che dopo alcuni anni si rividero sempre sull’isola gustosa, e aspettarono del tempo prima di andare insieme in cucina a preparare un nuovo desinare.

“ Quando due persone si rivedono dopo molti anni, dovrebbero sedersi l’una di fronte all’altra e non dirsi niente per ore ed ore, affinché con il favore del silenzio la costernazione possa assaporare se stessa” Emil Cioran.

 

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Torcello, Laguna
Paola Ricci©Photo

 

La ricetta a Venissa. Sarde in saor sempre croccanti 

Non c’è dato sapere per certo se la pietanza fosse stata eseguita proprio in questo modo tra i due personaggi della storia, ma vogliamo immaginare che il racconto del sapore e dell’incontro abbia fatto un viaggio a ritroso nel tempo e prendendo ispirazione da Venissa e dal suo chef Francesco Brutto. Egli  realizza questo piatto conoscendo la tradizione della preparazione delle sarde nella cucina veneziana è ha portato a Mazzorbo una “variazione” sul tema, quasi come una musica che si sviluppa nel palato in diverse sonorità.

 

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Sarde in saor sempre croccanti, Venissa
Paola Ricci©Photo

 

La peculiarità di questo piatto è data dal connubio dell’aceto con fragranze insolite, come il lampone e la rosa, realizzando una salsa che abbraccia la sarda senza inumidirla, ma mescolando i gusti in bocca e separando quello del mare del pesce e quello profumato che viene dalla terra. La sarda è croccante come se fosse cosparsa di granelli di noci o mandorle e il sapore di salmastro del pesce risulta fresco come il profumo dell’acqua sulla pelle per poi fondersi  in quello dolce del pane morbido e soffice che l’ha ricoperta prima della frittura.

 

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Sarde in saor sempre croccanti, Venissa
Paola Ricci©Photo

 

Anche i colori dei tramonti sono dolci per il dorato del pesce che sta vicino al rossore della salsa e alla cipolla di Tropea. L’equilibrio che ha realizzato lo chef  Francesco Brutto è di aver realizzato un equilibrio “misterioso” pur rendendo gli ingredienti sul piatto manifesti e creando  un sapore intenso, ma soffuso nella bocca per rimanere un tempo prolungato di piacere.

http://venissa.it/

https://www.paolaricci.com/blog_3a/mazzorbo-lisola-odorosa-venissa/

 

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Laguna di Venezia
Marta Guerra©Photo

 

 

 

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