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Il mio letto è una nave / II

Nel DISEGNO si scopre ciò che la PAROLA trasporta.

 Henry Wallon nell’Origine del pensiero nel bambino dice che il pensiero si forma per coppie:

(…) “la mente nasce nella lotta non nella quiete. L’idea di “molle” non si forma prima, o dopo l’idea di “duro”, ma contemporaneamente, in uno scontro che è di prolificazione. L’elemento fondamentale del pensiero è questa struttura binaria, non i singoli elementi che la compongono.

La coppia, il paio sono anteriori all’elemento isolato ”.(3)

Analizzando lo sviluppo del pensiero attraverso la struttura binaria, essa può provocare nel bambino la creazione di una mente totalizzante, in cui le cose sono o belle o brutte, giuste o ingiuste?

Questo permetterebbe poi di crearsi anche una struttura di pensiero fuori da schemi e ruoli prefabbricati?

Gianni Rodari, quando parla di binomi fantastici, dice che occorre porre una certa distanza tra le due parole, perché solo la distanza può creare un insieme fantastico. Nel binomio fantastico le parole sono presenti nel loro significato quotidiano, ma liberate dalle catene verbali di cui fanno parte, quotidianamente, per ottenere un pensiero immaginativo; vengono estraniate spaesate gettate l’una contro l’altra in un cielo mai visto prima.

Ritengo che per amplificare il pensiero del bambino, occorra superare la possibilità che si focalizzi solo sulle coppie delle parole, questo si può ottenere attraverso un gioco verbale, quello di porgli delle domande sui soggetti, interrogazioni impossibili sui i due argomenti posti in coppia.

Le domande devono essere semplici, perché questo permetterà al bambino di riconoscere le cose e di non trascurare molti aspetti e dettagli che lo porteranno ad allargare i suoi orizzonti nell’ascolto del dualismo di coppie di parole.

Quando s’incomincia questo gioco delle domande con i bambini, si potrà subito notare che diventerà contagioso e saranno proprio i bambini che cominceranno a parlare come un fiume e a porre all’educatore le domande impossibili. Possiamo vederne alcuni esempi più avanti quando riporterò le interrogazioni dei bambini sul binomio erba-mare.

 Il riconoscere gli oggetti ci porta ai processi di figurazione; il neonato è in grado nei primi mesi di percepire il buio e il chiaro e di avere una vista alla distanza massima di 20 -25 cm che poi col passare dei mesi lo porterà a vedere anche le cose poste in un secondo piano.

Il bambino appena nato preferisce osservare gli occhi della mamma e le parti che compongono il viso, essendo nel tempo, la faccia, la struttura costitutiva per il loro processo di figurazione e poi in seguito, nel riconoscere le facce di persone diverse dalla mamma.

Individuando il processo che porta il bambino al riconoscimento di una figura molto complessa, come il volto, arriveremo allo svolgimento che genera l’immagine mentale come riprova degli stereotipi nell’espressione grafica infantile e dell’adulto. Il riconoscimento di una forma complessa avviene attraverso un processo di collocazione degli elementi costitutivi della forma–oggetto in questione. Se noi abbiamo quattro macchie difformi e le collochiamo liberamente su uno spazio di un foglio bianco, per quanto le osserviamo, appaiono macchie in libertà; ma se invece le disponiamo due lungo gli assi simmetrici e le altre poste verticalmente anche scambiando le posizioni delle macchie diverse tra loro, ma mantenendo la struttura di posizione, ci apparirà sempre un volto umano. Ne deduciamo che l’occhio unendo le relazioni di posizione dei singoli elementi riconosce figure complesse e educa il processo di apprendimento che compie la visione oculare.

Se a una macchia è stato dato il riconoscimento come bocca, togliendola dalla vicinanza con le altre automaticamente perderà anche il nome acquisito, mentre questo non avviene se disegnate solo una bocca su un foglio di carta bianco, l’immagine non perde il suo nome. Questo perché le macchie non hanno un riconoscimento di contorno lineare e linguistico autonomo che ha invece la bocca come il naso e le altre parti del viso. (1-2 Fig.) In questo contesto mi viene in mente lo straordinario racconto di Gogol’ Il naso; il naso diventa un personaggio autonomo e si sposta liberamente dalla persona, diventando lui il protagonista della vicenda.

Con le macchie si disegna un volto, poni attenzione a come le disponi.

Con le macchie si disegna un volto, poni attenzione a come le disponi. Paola Ricci © Photo

 

Le macchie possono essere i nostri occhi o il nostro naso, ma libere sono solo macchie.

Le macchie possono essere i nostri occhi o il nostro naso, ma libere sono solo macchie. Paola Ricci © Photo

Il limite che presenta quest’analisi è che nel riconoscimento d’immagini nella visione, si compie anche la fissazione di  stereotipi visivi e linguistici; riprendo allora uno incipit di Bruno Tognolini, per immaginare la mente ha bisogno d’immagini, contenuta nel saggio sulla lettura a voce alta ,occorre sollecitare le attività mentali con l’attenzione visiva del soggetto e l’apprendimento di maggiori sinonimi della parola singola riferita al concetto per superare le fissazioni di stereotipi.(4)

La padronanza dei dinamismi di attenzione è certamente lo strumento più efficace per maturare la capacità percettiva. Le figure polivalenti, quelle configurazioni che si possono vedere in vari modi, sono l’artificio più adatto per mettere in luce l’aspetto dinamico della percezione e procedere al controllo delle circostanze di attenzione con le quali si costituiscono le forme.

Il nostro occhio vedrà il soggetto monte come una linea spezzata e anche come angolo; per avere la linea spezzata, l’attenzione si dirige sul tracciato e lo segue lungo la parete ascendente e poi lungo il versante discendente. Per avere l’angolo, l’attenzione si focalizza nello spazio compreso fra i due tratti.

Vi accorgerete che comincerete a vedere anche e soprattutto tutto ciò che comprende la figura. Per quanto riguarda l’uso della parola avremo una serie di sinonimi del soggetto, come: montagna, dosso, promontorio, sella, catena, vetta e altri ancora; tutti presenti nel dizionario, uno dei libri che io trovo, potenzialmente tra più creativi per il linguaggio e per il fare nell’arte. Stimolare i bambini alla ricerca dell’attenzione può diventare un gioco e divertire anche l’adulto.

Così le azioni dell’occhio-cervello, finalizzate all’attenzione, si alternano tra focalizzare, frammentare, spostare, dirigere e seguire.

Nella quotidianità, le operazioni d’osservazione comune sono, il più delle volte, inanellate tra loro; in una percezione estetica questo processo, invece, cerca di mantenere un’unione intrinseca tra loro come funziona un computer, che ha una vastità di conoscenze.

Proviamo a stare davanti ad un quadro, a guardarlo e utilizzando queste capacità di osservazione, lo ricorderete con l’emozione di aver voi scoperto i maggiori elementi e sarà più difficile dimenticarlo. Incominciamo a scoprire che effetto propulsivo hanno le domande poste ai bambini e cosa innescano e provocano.

 

Il bottone è come la luna?

Se facessimo questa domanda a un bambino forse, egli ci risponderebbe o che stiamo sognando, oppure può essere così veloce che ci dirà che la luna non si può cucire sul suo cappotto anche se ne ha perso o dirà anche, dove si possono trovare i bottoni che s’illuminano di notte. (3Fig.)

Col cerchio possiamo disegnare il bottone, la palla, la luna o il gomitolo e altri oggetti, prova tu a pensarne altri.

Col cerchio possiamo disegnare il bottone, la palla, la luna o il gomitolo e altri oggetti, prova tu a pensarne altri. Paola Ricci © Photo

La domanda presentata dall’educatore parte dall’aver riconosciuto che i due soggetti hanno in comune la forma circolare, ma hanno anche funzioni diverse; quello che lui vuole stimolare nel bambino è un processo d’immaginazione visiva attraverso la similitudine formale per arrivare allo sviluppo metaforico.

Però se noi diciamo al bambino che un manico di scopa diventa un cavallo; capiamo che i due soggetti non sono uniti per una somiglianza formale, anche se c’è una leggera linearità tra le due forme, ma per una questione di “funzionalità”. L’oggetto in questione, il manico della scopa, ha i requisiti minimi per essere cavalcato. Per comprendere questo processo d’interscambio di figurazione possiamo dire anche che il bambino può succhiare il dito, perché esso ha i requisiti minimi funzionali per rappresentare il seno o il biberon; assolvere a una funzionalità richiesta rende la forma aperta a diverse letture attraverso percorsi mentali che si basano su connessioni pertinenti. Questo tipo di analisi è ripreso in un importante saggio di E.H. Gombrich (5); egli rileva la relatività della visione e dei procedimenti imitativi, dove non esiste una purezza della verità dell’ottica naturale, mentre il nostro occhio fa parte di un sistema, in grado di organizzare e dirigere l’esperienza visiva.

Continua

3 Henry Wallon Origine del pensiero nel bambino, Firenze, Nuova Italia, 1970

4 B. Tognolini, R. Valentino Merletti, Leggimi forte, Milano, Salani, 2006

5 Ernst H. Gombrich, Torino, Einaudi, 1971

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