Quando si cerca la propria casa, si pensa alle sue pareti che separano dal mondo esterno a quello interno?
A volte non è solo una zona di riparo e di riposo, a volte i piani si capovolgono e chi ci abita può perdere orientamento e immaginare che le persone che ci vivono sono anch’esse delle forme che si svuotano.
Platone è stato un monitor per Flavia Bigi per realizzare il suo ultimo lavoro; l’artista italiana ha vissuto da cosmopolita, navigando verso terre sempre nuove in cui rimaneva per periodi a osservare come il suo corpo reagisse al nuovo spazio e produceva lavori che incontravano culture diverse. Questo suo continuo vagare è dato dal fatto di non essere in tali luoghi come appartenenza fisica, ma come poter attraversarne la loro struttura nella specificità estetica.
Gli oggetti artistici se sono slegati dalla loro funzionalità, cosa propongono, la dissoluzione della forma? Oppure l’intensità della configurazione estetica?
Flavia Bigi ripercorre, nei suoi ultimi lavori, un processo di vuoto “apparente”, lei toglie materia per poter aggiungere ”altro” che è il sogno della materia. L’occhio suo non vuole essere “funzionale” nel trovare sempre qualcosa da utilizzare per realizzare; lei ribalta la necessità per andare verso una “ribellione” che comporta avvicinarsi alla fragilità del vuoto.
I corpi disegnati con una tecnica immediata e fresca esprimono la vacuità delle anime quando esse perdono la categorizzazione di una funzionalità stabilita. La madre è elemento di accudimento durante la crescita, ma può succedere un ribaltamento della materia?
Possono i corpi che vediamo essere intesi come dei contenitori di anime invisibili?
Nei disegni di Flavia Bigi l’ombra non appartiene più al corpo che non sembra averne proiettato nello spazio la materia di luce; appare a volte un’effimera macchia oppure è totalmente assente. Le persone sono sospese nello spazio bianco del foglio di carta, pur avendo le posture che sembrano radicate a terra.
Qui allora Flavia Bigi capovolge il concetto della creazione dell’immagine illusoria delle ombre nella caverna platonica; lei evoca l’immagine non raffigurandone l’ombra.
“Stabilire che tipo di ombra il prigioniero guardi, qui e più avanti, al momento dell’uscita dalla caverna, non pare invece per nulla irrilevante ai fini di una corretta e completa interpretazione della nostra celebre immagine…” LindaM. Napolitano Valditara su “Platone e le ragioni sull’immagine”.
Flavia Bigi arriva alla disgregazione totale del corpo, lasciando al limite massimo, un semplice braccio di bimbo circondato da un pulviscolo di aria o di condensa di materia quasi ad indicarne un svuotamento necessario.
Lei esprime l’inevitabile distanza che c’è tra gli ideali umani che si hanno in mente e la realtà in cui si vive?
Lo stesso avviene anche nel mondo naturale e nella scienza?
Sembra manifestato questo dubbio quando l’occhio di Flavia coglie questo aspetto utilizzando la fotografia come strumento per catturare, con l’inquadratura minimale, la ricercata ambiguità dello spazio.
E’ un superficie , è un dettaglio e un cambio di materia, o è solo un istante che poi non possiamo rivedere ?
Lo scatto diventa la scelta di non farsi riconoscere di stare anch’esso sospeso su un ipotetico foglio bianco e pensare che sia un disegno della foto.
Il corpo nella memoria di Flavia Bigi può apparire ”inesistente” nei disegni Interlace, perché crea col colore delle zone che velano i contorni e i confini, fino a farne delle “macchie “ di densità fitta e apparentemente invalicabile. Nei disegni Missing Scenes, lei ripropone questo ”vuoto” mentale, apportando sui visi dei “bolli” che sono bidimensionali, su un corpo chiaramente volumetrico.
Sia posto sul lupo, che sulla bambina, lei “gioca” sui piani intersecati tra il tridimensionale della situazione disegnata del lupo e della bambina e quello bidimensionale del disegno a cerchi concentrici dei rivelatori di punteggi al tiro a bersaglio.
Anche la loro disposizione sullo spazio del foglio appare come un inconciliabile incontro che si ripresenta anche nel disegno tra la donna che sfiorisce la margherita e il lupo disteso alle sue spalle.
I cerchi concentrici si mascherano nel disegno raffinato fatto a matita, ed è questo intravedere che rende la situazione come una scena del teatro dell’assurdo, dove le parole potrebbero aleggiare, ma sarebbero i “nonsense” di Ionesco che si materializzerebbero.
Il disegno e acquaforte Come Closer, sembra l’espressione della moltiplicazione, le teste nella testa, le diverse dimensioni delle facce all’interno del capo grande, come un’ampolla di desideri, dove i mille pensieri che affollano la mente sono un volere impellente di riempire.
Qualcosa che è apparentemente vuota riproduce, all’interno del vacuo, le copie di essa stessa animate da un desiderio di non sentirsi soli?
Come Closer è una riproduzione che rimanda alle illusioni di creare una vita infinita, oppure sono sovrastrutture architettoniche come nei modelli di Escher?
L’artista oltre a disegnare questa composizione, la riproduce su lastra per realizzare delle incisioni, come se enfatizzare, con l’acquaforte, la riproducibilità che è insito nel paradosso visivo di vedere copie infinite di oggetti di vendita, siano poi imperfetti e non uguali.
Le stampe dell’ acquaforte sono eseguite in contemporanea con i disegni, come se uno si rispecchiasse nell’altro, la lastra con la sua stampa.
Nell’installazione Hic et Nuc (Perpetuum Mobile) le teste diventano nuovamente il “supporto” per replicare il vuoto, che diventa sempre necessario per quest’artista. Le forme a testa di materiale trasparente come il vetro, sono incise per realizzarne sopra dei disegni. Sono immagini estrapolate dalle riviste che si accumulano d’immagini di memoria. Sospesi nello spazio appaiono e scompaiono in base alla presenza della luce che le illumina e nel loro ruotare nell’aria.
Quello che chiude o apre il lavoro di Flavia Bigi è trovare una collocazione negli spazi che lei attraversa e la scultura installativa“House” è l’espressione del suo ultimo periodo di ricerca. Costruita con la linea metrica nello spazio, racchiude l’assioma di tanto lavoro prodotto negli anni; non è un punto di arrivo, è una misurazione per distinguere il contenuto dal contenitore e renderlo mobile nello spazio, come forse l’uomo cerca una sua casa nel suo panorama di vita che attraversa.
The Props assist the House
Until the House is built
And then the Props withdraw
And adequate, erect,
The House support itself
And cease to recollect
The Augur and the Carpenter –
Just such a retrospect
Hath the perfected Life –
A Past of Plank and Nail
And slowness – then the scaffolds drop
Affirming it a Soul –
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