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Feuerbach (1804-1872)/ Divinità e Cloud scapes

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La critica che muove Feuerbach alla religione cristiana è quello, di aver subordinato la figura dell’uomo rispetto a quella di Dio, questo perché l’uomo avverte continuamente la suo essere infinito e lo proietta nella religione. Infatti Feuerbach afferma che la religione è la coscienza dell’infinito; per questo la coscienza che ha Dio è la coscienza dell’uomo che ha di se stesso; l’uomo ha creato Dio a sua immagine e si è sottomesso alla propria creazione realizzando una alienazione nella religione.

“ la religione è la coscienza dell’infinito, cioè che l’uomo non ha limitazioni, l’uomo non si sente limitato come specie e per questo la coscienza che ha di Dio è la coscienza dell’uomo che ha di se stesso” Feuerbach.

 

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Nebbia Paola Ricci©Photo

Marx e Engels criticano la posizione filosofica di Feuerbach, perché egli considera la Realtà soltanto come oggetto della conoscenza e come attività umana e cioè come PRASSI. Rimane quindi sul campo dell’astrazione umana e non materiale. Poi anche nel concepire la NATURA fuori della storia invece di considerarla come ambiente che agisce sull’uomo, ma che a sua volta è trasformata dall’uomo.

Per Hengel è importante esprime l’umanità dello Spirito, il finito nell’infinito, invece per Feuerbach quello che contò è l’IO ( la realtà materiale del singolo), ma l’uomo inteso come specie esprime la sua infinità. Feuerbach rispetto a Marx è un vecchio materialista perché riesce a cogliere nella realtà materiale e nella Storia la possibilità di modificare l’evolversi della realtà.

Feuerbach si rivolge all’esistenza sensibile dell’uomo corporeo, Marx all’esistenza economica della massa; in Feuerbach l’esistenza reale in genere si ritrova nella sensazione e nella passione, in Marx l’esistenza sociale si rivela nell’attività sensibile in quanto prassi sociale.

 

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Nebbia Paola Ricci©Photo

 

Se fosse che il concetto di coscienza in Feuerbach che si manifestasse anche il senso della divinità, che immagine sceglierebbe l’uomo?

L’incontrastabile infinito che al tatto non potrebbe essere racchiuso in una mano. Sembra che la cognizione di un infinito come essenza è spesso catturato con scatti fotografici di paesaggi al limite del vuoto di memoria, dove il luogo diventa fittizio e l’uomo diventa presenza sottile alienata nella coscienza per muoversi in una fitta nebbia priva di punti di riferimento.

 

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Nebbia Paola Ricci©Photo

 

Il punto di riferimento nel divino non esiste, non è sottolineato come possibile contatto tra l’uomo e Dio, viene abbandonato e allontanato per dare spazio all’infinito dove la materia si “scontra” con la rarefazione delle superfici.

Scattare con la presenza della nebbia quello che appare arduo è la possibilità che si ricrei una situazione di appiattimento che è presente nella realtà, ma nel muoversi in esso l’uomo sperimenta una fisiognomica di perdita e focalizzazione sul proprio corpo; nella fotografia questo è difficile da realizzare non avendo la dimensione sinestetica del paesaggio rappresentato.

 

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Nebbia Paola Ricci©Photo

L’intensità luminosa è proprio uno dei problemi principali da affrontare: essendo il nostro soggetto illuminato debolmente presente, i tempi di esposizione saranno più lunghi di quanto faremmo nel caso di illuminazione dove il sole è libero di manifestarsi. La nebbia rende l’aria molto più riflettente alla luce, e la macchina fotografica compie una lettura decisamente errata della luminosità della scena.

 

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Tetsuo Kondo Architects e Transsolar, Cloud scapes
Biennale di Architettura Venezia 2010,
Paola Ricci©Photo

Allora quello che prevale è l’assenza dei limiti, la possibilità di valicare la terra rispetto al cielo in una dimensione che combacia tra i diversi piani, come una sorta di fusione per cancellare ciò che è troppo dettagliato definito e limitato e spostare il corpo in una dispersione di energie materiale per affinare la vista ed immaginare altro dietro a quel muro di luce.

 

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Tetsuo Kondo Architects e Transsolar, Cloud scapes
Biennale di Architettura Venezia 2010,
Paola Ricci©Photo

Nel 2010 alla Biennale di Architettura di Venezia fu presentato un progetto stupendo in cui ci si muoveva tra le corderie dell’Arsenale avvolti da una nebbia “realizzata”, di Tetsuo Kondo Architects e TranssolarCloud scapes, in questo caso erano delle nuvole che si espandeva nello spazio. Trovarsi avvolti dalle nuvole e dal loro equilibrio che si auto sostengono nello spazio, allora l’uomo muovendosi liberamente si cancellava dentro ad esse. La capacità di toccarle e sentirle sulla pelle diventa una fantasia, dove il divino è il sublime per l’uomo che gli appare di poter vivere in un mondo etereo di vapore vaporoso.

 

 

 

 

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