La fotografia esiste come necessità per alcuni artisti?
La luce nell’immagine fotografica è automaticamente ascrivibile nella chiarezza?
Nel Padiglione del Belgio alla 57. Esposizione Internazionale alla Biennale ai Giardini di Venezia.
Sebbene muoversi nell’oscurità possa sembrare difficile per una persona la notte buia illuminata da una sola luna appare più folgorante di una giornata di sole.
Alla Luna
O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, nè cangia stile,
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso,
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri!
Giacomo Leopardi
Dirk Braeckman lavora con la luce e come fosse il nero, che ha il massimo potere di esprimere la visibilità e di osservare quei dettagli, ma che determinano la profondità di campo del soggetto “colto” catturato, nel suo vivere quotidiano.
La cultura del bianco e della lucentezza dello spazio quasi accecante non è, per Dirk, lo spazio leggibile, è la dissoluzione della materia, mentre si concretizza la lettura, nella fumosità dei neri i momenti disegnati nelle fotografie di questo artista belga presente alla Biennale di Venezia.
La tecnica è quello dello stampatore esperto che conosce quello che può accadere nella camera oscura, dove ritrova i suoi punti di riferimento stando in una dimensione che farà emergere, sulla carta, i neri sui neri, gli strati sui strati come velature infinite che sono realizzate con una tecnica che si avvicina alla infinita attesa come un pittore del ‘600, Vermeer che faceva della luce una disciplina cromatica.
Vermeer, come molti altri pittori della sua epoca, faceva largo uso della camera oscura per definire l’esatta fisionomia dei personaggi raffigurati e la precisa posizione degli oggetti nella composizione dei dipinti anticipando con le sue pitture i “still life” con le persone ferme.
I cromatismi e le fisionomie sono ricercati attraverso i diversi neri e grigi che Dirk Braeckman riesce ad ottenere con la dovizia dell’attesa di come si disporranno i diversi strati di luce sulla carta, quasi come il pittore poneva e aspettava la prossima velatura per ottenere la sua luce cromatica.
Gli oggetti che animano questi luoghi sembrano collocati in luoghi costruiti, potrebbero essere dei non-luoghi, come i still life, però vi è una energia che preclude che si muoveranno; qualcosa accadrà ed è dato da questi spessori di profondità che i neri sviluppano sulla carta.
Se l’immagine non ha una storia da narrare, cosa rappresenta per lo sguardo che l’osserva?
I particolari, nelle foto di Dirk Braeckman, assumono la forza dell’elementi che costituiscono l’immagine nel suo insieme, sono dispersi e abbondanti. La ricerca delle rifiniture, da parte dello spettatore, può portarlo verso una “storia” misteriosa, dove l’identificare una cosa per una altra è la capacità di svelare se c’è mistero o no in quella ambientazione.
La distanza nel tempo di quando è stato in quel luogo o in quel contesto, viene lanciato nell’oblio per poi catturare nuovamente lo scatto e stamparlo in un tempo molto più avanti. Questo assume una necessaria perdita di dimensione emotiva. Chi osserva queste opere, che si stagliano sulle grandi sulle pareti delle sale del Padiglione del Belgio, sente di fluttuare tra una immagine e l’altra dimenticando che vi è stato un tempo passato e uno presente e desidera solo spostarsi con leggerezza con un insano desiderio di entrarci dentro. Essere assorbiti fisicamente o essere avvolti in quelle atmosfere, anche solo come momenti onirici ad occhi aperti, è come uscire dalle stanze prima dello scatto.
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