Considerare “astratto” qualcosa che non esiste è corretto?
Parlare di “Concretismo” come un’arte Astratta risulta una migliore denominazione nel contesto pittorico ?
Gli artisti hanno, con la materia pura del colore ad olio, un rapporto diretto e inequivocabile e stendere la pastosità del colore su una tela o su un supporto è anche un lavoro tridimensionale.
La parola “astratto” è ormai talmente “convenzionale” che forse ha perso della sua energia “combattente” di realizzare un passaggio epocale dalla pittura del “reale” a quella dell’”irrazionale”. L’astrattismo ha insito nella parola l’incipit di tirare fuori e “trarre” esternamente dell’altro, senza che questo possa o debba avere una sua collocazione di riconoscimento o di “sembrare” qualcosa noto.
Il tempo, come sempre, ha il potere di espandere qualcosa che ha in serbo verso una “scoperta” di avanguardia innovativa, portandola avanti su altre espressioni significative della storia artistica. Così l’astrattismo si è poi manifestato in una altra corrente, l’Informale dove la gestualità pittorica, superando l’astrattismo, diventa materia dinamica di gestualità estemporanea.
La forza di questa totale apertura di reinventarsi è data dal suo concetto primordiale?
Oppure è la forza insita della presa di mano dell’artista nei suoi strumenti, che evolve sempre in qualcosa di nuovo e non simile?
La gestualità di Bruna Lanza non è periodica ed evolutiva essa è “azione” cromatica e come tale la superficie del colore non si assottiglia solo su una tela o su una tavola di legno, ma assume la connotazione di liberazione nello spazio.
Le posture del corpo umano quando sono nell’atto di dipingere sono celate e nascoste ed è difficile comprendere come si è mosso l’artista davanti alla tela bianca prima di iniziare.
Possiamo però “intuire” che i movimenti di Bruna Lanza si dispongono in una “circolarità appuntita” e sono dal corpo che escono nello spazio; lei interpreta, nella composizione sia bidimensionale che tridimensionale l’evoluzione fino a raggiungere la scultura. Sperimenta la terra disposta sulle tele, ma anche nelle sculture, sedimentando gli strati dal bidimensionale per poi elevarli nell’aria. La pittura non è manchevole di ulteriori dimensioni, come qualcuno potrebbe accennare nel vedere, ma si osserva un insieme scultoreo.
I limiti della pittura sono la partenza per la scultura e viceversa, la realizzazione nello spazio tridimensionale è la cromia che si distacca nell’autonomia pittorica.
Bruna Lanza si muove con delicatezza, ma anche con energia proprio su questi due confini che sono scambievoli anche se separati.
Avviene che il colore si dispone allora su un fondale di calma apparente, dove il colore appare anche spatolato con l’intenzione di creare un fondale fluido, dove l’energia che arriva del gesto si trova come spiazzata e tale da rimanere in una dinamicità fisica continua.
Anche nella scultura quel dinamismo della massa e della forma si muove su se stesso, come una dimensione di vedere e non vedere, scorgendo nell’incavo della forma il colore che modifica l’intensità della tinta dalla luce e riesce a penetrarvi dentro.
L’infinito fondale può scomparire del tutto, apparendo poi sotto le velature di un bianco di zinco assordante e luminoso tale che i gialli e gli aranciati non possono altro che stagliarsi maggiormente in posizioni centrali e centripete per aumentare l’acuità visiva dello spettatore che forse ci è già caduto dentro.